90mila firme per il reddito di cittadinanza e senza l’apporto del Movimento 5 Stelle

Che cos'è oggi la giustizia sociale ? Il 6 giugno scorso è stata la giornata nazionale per la dignità ed il reddito minimo: attraverso più di 200 banchetti collocati in altrettante piazze italiane sono state apposte in appena una giornata oltre 20 mila firme (che vanno ad aggiungersi alle 70 mila già raccolte online dal mese di marzo). La campagna è promossa dall'associazione Libera insieme al Gruppo Abele ed a BIN Italia, al Cilap ed a tanti altri: l'obiettivo è quello d'ottenere in Parlamento una buona legge sul reddito di cittadinanza o minimo garantito.

Il reddito di cittadinanza, detto anche "Basic Income", risponde all'ineludibile domanda relativa a cosa siano diventati i diritti sociali. Davanti alle trasformazioni (anch'esse) sociali in corso ci si chiede cosa voglia davvero dire un livello socialmente decoroso di vita, di possibilità di scelta e autodeterminazione in una società che troppo spesso sentiamo etichettare come "globale". L'espressione porta dietro a sè dei veri e propri dogmi dai quali pare non ci si possa allontanare: su tutti la massimizzazione dei profitti e la loro privatizzazione. Che sottintendono come inevitabile la socializzazione delle perdite tra i più deboli e incapaci di decidere del loro destino, ossia i cittadini.

Al di là infatti delle battaglie parlamentari del M5S, che del reddito di cittadinanza ha fatto una delle sue bandiere, quella del Basic Income è un'idea che esiste almeno dagli anni '80 e che non va a contrapporsi con quella di lavoro. Una prima doverosa considerazione al proposito è che in ogni società la piena occupazione costituisce un traguardo quasi impossibile da raggiungere e mantenere, mentre i costi sociali della disoccupazione vanno comunque affrontati in qualche modo. Ecco perchè la presenza di un efficiente sistema di welfare è di gran lunga più importante di un mercato libero e selvaggio. Utile davvero esclusivamente ai "soliti pochi".

Di fronte agli 'esclusivi' vantaggi del mondo della finanza e del capitale privato l'impoverimento di sempre più ampi strati della popolazione è un segnale ormai sempre più allarmante. Il contrasto alle diseguaglianze, alle mafie ed alla corruzione non sembra essere entrato, se non a parole, nell'agenda politica del nostro Paese. Che rimane impaludato ed ostaggio del mito dell'austerity (dal governo Monti in poi). Per cambiare la situazione attuale ci vorrebbe un impegno che la politica non riesce a profondere.

Dal 2008 ad oggi gli anni di crisi in Italia arrivano al conto di sette. Da allora la povertà è raddoppiata come emerge da molti dati diffusi da Istat, Eurostat o OCSE. Il tempo di cambiare rotta è già arrivato e la raccolta firme della campagna di Libera lo dimostra. Queste firme non sono certo espressione di quel "capitale privato" a cui si fa riferimento quando si parla della libertà delle multinazionali di muoversi sul mercato globale spostando grandi somme di denaro. Ma soprattutto sono firme che vorrebbero determinare l'economia in segno contrario a quanto sta avvenendo: la sopravvivenza di migliaia e migliaia di giovani, famiglie e lavoratori non può proseguire nella precarietà ed in un sistema economico che non è capace di rigenerarsi. Perchè in primis è la politica, sorda al territorio e ancora troppo autoreferenziale, che non sa intervenire, produrre risultati ed essere efficace.