Quell’Europa che non sa stare insieme. E che alza muri perchè incapace di crescere

Danimarca, Svezia e Germania. In modo del tutto autonomo ma, in Europa, aumentano le prese di posizione dure e, in alcuni casi, anche poco sensate nei confronti dei flussi migratori. In Danimarca, il 26 gennaio, è stata approvata una legge davvero molto discutibile per disincentivare le richieste di asilo: il parlamento danese ha legiferato persino la confisca dei beni a copertura delle spese di accoglienza dei migranti. I richiedenti asilo non potranno tenere per loro niente che abbia un valore superiore a 1.350 euro.

Se la legge danese è stata votata da un governo liberale (col supporto anche dell'opposizione socialdemocratica), in Svezia, il giorno dopo, è stato un governo di stampo socialdemocratico, con la sospensione del trattato di Schengen, a scendere a patti con i flussi migratori che hanno reso questo Paese il primo per il numero di rifugiati pro capite in Europa. In particolare dal 2013, infatti, la Svezia assicura l'asilo politico e la residenza a tutti i profughi provenienti dalla Siria.

«La Svezia - ha affermato Anders Ygeman, il Ministro degli interni svedese - espellerà 80 mila richiedenti asilo arrivati nel Paese nel 2015 e la cui domanda è stata respinta. Procederemo gradualmente ai rimpatri forzati utilizzando aerei charter». Anche in Norvegia sono state prese alcune dure misure ed ora la Germania sta discutendo la possibilità di espellere subito i rifugiati nel caso di reati sessuali o contro la proprietà privata. Lo stesso diritto al ricongiungimento familiare subirà un probabile ridimensionamento: pare che dovranno passare almeno due anni per esercitarlo.

Quello che fa riflettere nel susseguirsi di ognuna di queste reazioni è proprio la mancanza di un progetto politico comune. Non certo una novità quando ci si trova a parlare d'Europa: dalla crisi economica al rapporto con le banche nazionali non si intravvede una luce alla fine del tunnel. Anche in tema di immigrazione la politica europea lascia parecchio a desiderare: il trattato di Schengen nei fatti oggi funziona a corrente alternata. I controlli alle frontiere avvengono già, oltre agli stati di cui abbiamo scritto, anche in Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria e Francia con modalità diverse a seconda dei casi. In Ungheria è stata stabilita pure la costruzione di una recinzione.

Le regole della comunità europea vacillano: l'etica e la morale dell'Ue, già messe a dura prova dal dominio dei mercati e dall'economia, sembrano essere abbandonate in un angolo. Senza di esse però il senso stesso di un'Unione Europea si scontra con i principi fondanti su cui è stata creata: il Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Hirschmann, ritenuto un testo fondamentale, immaginava tutt'altro che un'Europa tecnocratica. Lì è nata la prima idea di un governo democratico, con un parlamento eletto a suffragio universale, in grado di decidere davvero in materia di politica estera e non solo.

Se la politica estera europea non si sposa con una precisa etica non ci sarà mai un'Europa libera e davvero unita. Sarebbe come pensare agli Stati Uniti, i cui singoli stati viaggino in modo individuale nei rapporti con l'estero: non sarebbero più percepiti come un'unica nazione coesa. Ed in queste situazioni i capitali e le economie non sono in grado di risolvere problemi così complessi e su scala mondiale, com'è quello dell'immigrazione.