Libia: guerra italiana a fianco dell’Egitto

In Libia, da mesi, è in atto una guerra virtuale. Tutti lo sanno, nessuno lo dice. Sopratutto gli italiani, la cui opinione pubblica dovrebbe essere informata, se non altro dei rischi. Forze speciali Usa, francesi e inglesi super-addestrate controllano l'aeroporto della capitale, unico sopravvissuto alle guerre fratricide tra milizie che da 5 anni insanguinano il Paese. In più, di fronte alle coste c'è la portaerei francese De Gaulle.
La guerra vera (quando verrà e se verrà) sarà a guida italiana come ha detto il ministro della Difesa americano Ash Carter. La Libia è infatti di fronte a noi, fu una nostra colonia e noi siamo il suo primo partner commerciale. L'azione militare sarà propabilmente affidata al generale Paolo Serra che già diresse il contingente internazionale in Libano.
Ma 'quando' e 'se'. Le due risposte dipendono da un fatto e dal conseguente 'sì' dell'Onu sotto la cui egida dovrebbe esser condotta l'azione internazionale. Vi parteciperebbe anche l'Egitto del generale dittatore e golpista Al Sisi, cui dovremmo pretendere 'a priori' la verità sull'omicidio di Giulio Regeni. Altrimenti sarebbe come quei mafiosi che si lavano le coscienze con offerte alla Chiesa. Quel denaro sporco che Papa Francesco proclama di rifiutare.
Dopo tanti accordi disattesi, occorre che si formi un governo unitario che sostituisca i due attuali: quello filo-islamico della capitale Tripoli e quello di Tobruk, unico riconosciuto dalla comunità internazionale.
Ma finora si va avanti di rinvio in rinvio. Le bande armate non vogliono come Premier Fayez al Sarray, definito “burattino nelle mani degli stranieri”, e sopratutto come ministro della Difesa l'uomo forte, il generale Khalifa Haftar, fedelissimo di Gheddafi.
A 5 anni dalla scriteriata azione militare franco-britannica e morte del raìs dopo 42 anni di potere, sono molti che lo rimpiangono e tanti dei suoi uomini che si sono schierati nelle file dell'Isis sperando così di prendersi una rivincita. E' infatti sintomatico che la massima penetrazione dei tagliagole sia vicino a Sirte, città natale di Gheddafi. Lo dimostra l'uccisione nella zona di due tecnici italiani.
Un Paese sospeso tra un passato pieno di fallimenti, un presente caotico e un futuro nero. Dove la gente (5 milioni di abitanti) non pensa alla sorte del Governo in fieri, ma ai suoi problemi veri.
Che sono: crollo del prezzo del petrolio, blocco delle esportazioni a causa dell'anarchia interna e arrivo dell'Isis. Dato che il 95% delle entrate della Libia sono sempre venute dall'energia, si può capire la drammatica situazione attuale. Una catastrofe.
Infatti da due mesi lo Stato non paga più gli stipendi agli statali, che sono un milione e mezzo, quasi un terzo della forza lavoro del Paese, quasi tutti impiegati nel settore petrolifero.
E poi la piazza ritira i suoi risparmi dalle banche e non ci sta alla ventilata liberalizzazione del prezzo della benzina sul mercato interno. In uno Stato in cui Gheddafi aveva imposto il prezzo politico (e demagogico) di un euro per 30 litri, fa dire a tutti: “Si stava meglio quando c'era lui...”.

Augusto Dell’Angelo
Augusto.dell@alice.it