Le rogge di Udine, una triste fine

L'infelice copertura della roggia in via Grazzano

L'infelice copertura della roggia in via Grazzano

Udine, una piccola villa accoccolata sotto il colle incastellato, attraversata da un'unica stretta strada, oggi denominata Via Sottomonte, poté crescere fino a diventare una città soltanto dopo che, non si sa chi e quando, un’autorità politica o ecclesiastica, riuscì a captare l’acqua del Torre a Zompitta e a canalizzarla verso il Cormôr, da nord-est a sud-ovest, sfruttando la naturale pendenza del territorio.
Prima delle rogge c’erano naturalmente dei pozzi, a Udine, cinque per la precisione nel Duecento, e già allora considerati molto antichi, ma non erano in grado di rifornire d'acqua una città, anche perché pescavano in una falda freatica molto profonda e non abbondante (circa sessanta metri).
Pacifico Valussi, nel 1865, così ci descrive le rogge della Città: “Prima di derivare, per un canale lungo miglia, l’acqua della roja che bipartita entra in questa città e dà moto a’ suoi molini ed a parecchi edifizi, questo luogo [Udine] difettava interamente d’acqua. La quale mancanza spiega che le origini di Udine fossero umili ed oscure come città di qualche importanza”.
Non può essere quindi revocata in dubbio la fondamentale importanza delle rogge nella vita e nella storia della Città, che dovrebbero essere considerate alla stregua di documenti e monumenti storici, ma come tutti possono constatare si tratta di beni nascosti, che il Comune, dopo la costruzione degli acquedotti fra Otto e Novecento, avrebbe addirittura voluto cancellare dal volto urbano.
Prima di narrare le vicende che riguardano l'interramento delle rogge nel corso del Novecento, vediamo di descriverne i percorsi, senza dimenticare che stiamo parlando di canali scavati a mano per realizzare un complesso e articolato progetto di redistribuzione idrica a partire dal Torre, che può essere considerato, per non meno di nove secoli, il vero acquedotto di Udine.

Via Gemona prima dell'interramento della roggia

Via Gemona prima dell'interramento della roggia

78655008Il torrente, che scende da Tanataviele sopra Tarcento, sarebbe quasi sempre in secca a sud di Zompitta se le sue acque non fossero immesse nella roggia Cividina sulla riva sinistra e nella roggia di Udine sulla destra.
La prima scorre a est di Primulacco e, per Povoletto, Grions, Remanzacco e Selvis, riporta l’acqua nello stesso torrente all’altezza di Cerneglons.
La seconda, che per Cortale, Rizzolo, Santa Fosca, Cavalicco, Paderno, Chiavris, Udine, Basaldella, Zugliano, finisce la sua corsa nel Cormôr a Mortegliano, cede una parte della sua acqua a una terza roggia che, per San Bernardo, Godia, Beivars, San Gottardo, Pradamano, Lovaria, raggiunge Pavia di Udine, dove si disperde fra le ghiaie. A sua volta questa roggia cede una parte dell’acqua a un canale che da Beivars raggiunge Udine a Planis, passa per piazza I° Maggio e, per Cussignacco, Lumignacco, Risano, Chiasottis, Lavariano, dall’inizio del Seicento porta acqua alla fossa di Palmanova.
32391073Il primo documento che nomina un’acqua corrente, “que per villam nostram de Utino fluit”, è un atto del patriarca Volrico II di Treffen, rogato il 4 maggio 1171 per concedere l’uso dell’acqua alle ville di Cussignacco e Pradamano, al canone annuo di sessanta staia di avena da consegnare al “Cellario de Utino”.
L’espansione urbana e la crescita demografica fecero poi aumentare le cause di inquinamento e anche i divieti nelle norme degli Statuti comunali.
Erano vietati i letamai in prossimità delle rogge e il colaggio dei liquidi dai cortili alle strade, da dove potevano facilmente finire nell’acqua.
Era altresì proibito lavare panni e pelli, gettare nelle acque visceri di animali e “bigatti”, ovvero bachi da seta morti per malattia o per il calore della stufatura, come risulta facesse il pittore Giovanni Ricamatore, detto Giovanni da Udine, allievo di Raffaello. C’era il divieto di bagno e lavaggio per le persone, e a maggior ragione per le anatre e le oche.
Possiamo domandarci, a questo punto, se tutti questi divieti venivano rispettati dai cittadini e fatti rispettare dalle autorità cittadine, che comunque non avevano potere sui territori dei comuni a monte attraversati dalle rogge. La risposta, stando alle proteste e alle denunce documentate, è negativa, ma bisogna ricordare che, in quei tempi, si considerava potabile o comunque utilizzabile l’acqua limpida: bastava, quindi, lasciarla decantare!

Le rogge nascoste e perdute

Foto d'epoca. Riva Bartolini, canale fra vecchie case

Foto d'epoca. Riva Bartolini, canale fra vecchie case

La prima proposta di copertura di un lungo tratto della Roggia di Palma, davanti all’Arcivescovado, risale al 1848, e fu bocciata dall’ingegnere municipale per ragioni tecniche, e “perché l’acqua che scorre scoperta è da per sé un ornamento naturale”. Anche l'architetto Sanjust, nel 1909, aveva considerato le rogge come elementi essenziali del volto urbano, ma gli amministratori del Comune la pensavano in modo diametralmente opposto, e vollero eliminarle, accampando ragioni igieniche (che evidentemente erano soltanto udinesi, posto che molte città d'Europa sono percorse da acque) ed economiche (troppi costi di manutenzione per il Comune).
La guerra contro le rogge iniziò nel 1924, con un progetto che prevedeva la deviazione della Roggia di Udine (o di Mortegliano) da Porta Gemona al Canale del Ledra; e nel 1925 si pensò di deviarla addirittura da Vât. Scopo della deviazione era quello di interrare l'alveo della roggia per allargare le strade in Via Gemona, Via Zanon, Via del Gelso e Via Grazzano (quest'ultima trasformata in un parcheggio a pagamento).
I progetti non furono realizzati per l’opposizione del Consorzio Ledra-Tagliamento e dei privati che lavoravano lungo il corso da sopprimere (si pensi al mulino di Via del Sale) e al battiferro Tremonti in Androne dal Morâr (non ancora Via del Gelso, in quegli anni).
Il Piano regolatore del 1938, prevedeva, vorremmo dire naturalmente, l’eliminazione delle acque dal tessuto urbano, e furono ripresi in considerazione i progetti di deviazione degli anni Venti.
Furono allora concepiti e formulati vari progetti, come quello del 1937 che ipotizzava lo scarico della Roggia di Udine in quella di Palma a nord della Città, per evitare l’opposizione del Consorzio Ledra-Tagliamento (si suppone).
Poi la guerra creò problemi più gravi e le rogge, per cinque anni, poterono scorrere tranquille.
Ma nel 1945 il Commissario prefettizio rilanciò i progetti rimasti nel cassetto perché convinto che l’eliminazione dei due canali fosse il presupposto indispensabile per lo sviluppo urbano!
Qualche anno più tardi i pubblici amministratori si convinsero che era urgente l’eliminazione delle rogge perché la ricostruzione edilizia, basata sull’intensivo sfruttamento delle aree fabbricabili nel centro storico, aveva raddoppiato il numero di abitanti per ettaro rispetto all’anteguerra. Ma bisogna pur dire che il “sacco di Udine” iniziò dove non scorrevano le acque, vale a dire nella zona sud-orientale della Città, dove il Borgo di Mezzo fu letteralmente sepolto dal cemento con un’intensità davvero incredibile: il tutto con l’aiuto dello Stato (legge 28 luglio 1950, n. 834).

Roggia in piazza Patriarcato

Roggia in piazza Patriarcato

Si trattò di un'architettura di mera speculazione, realizzata contro ogni regola urbanistica, che incontrò peraltro la benedizione di ingegneri e architetti! L’ing. Sirch, ad esempio, propose lo sfondamento di Via Zanon e la lottizzazione dell’Arena Italia in pieno centro, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti, e invitava a non considerare un tabù il Mercatonuovo (Piazza San Giacomo, poi Matteotti), che si poteva quindi manomettere!
Nel frattempo furono accantonati i progetti di eliminazione delle rogge, perché comportavano costi troppo alti, ma fu decisa la copertura dei canali nei tratti ritenuti indispensabili dal Piano regolatore del 1938.
La roggia in via Gemona fu intombata per voto espresso dal Consiglio comunale il 29 marzo 1951, e la decisione incontrò soltanto l’opposizione delle donne residenti nei pressi, che non volevano rinunciare al lavatoio pubblico vicino a casa, in quel tempo indispensabile!
Il 29 maggio 1951 la Commissione provinciale per la tutela del paesaggio propose il vincolo per quegli storici corsi d’acqua, e per tutta risposta il Consiglio comunale approvò la copertura del tratto di via Grazzano nell’ottobre del 1953. Soltanto un consigliere sollevò la questione paesaggistica, e propose di realizzare un cortometraggio per memoria storica!
Fu poi la volta di Via del Gelso, trasformata da vicolo cieco (Androne dal morâr) bagnato dalla Roggia di Udine, in strada di scorrimento con sfondamento in ardita chicane verso Piazza Garibaldi.
Nel 1955 il critico d’arte Arturo Manzano denunciò pubblicamente lo stupro in atto e propose il ripristino dei tratti coperti.
Il Comune di Udine, tramite il Sindaco Centazzo, rispose che avrebbe rispettato soltanto la Roggia di Palma dalla Basilica delle Grazie a Via Aquileia.
Il Ministero concesse il vincolo paesaggistico per le rogge di Udine il 16 ottobre 1956, ma il Comune accelerò le nuove coperture, come quella di Via Gorghi, e, in violazione del vincolo, ne realizzò altre nei piazzali Osoppo, Cella e Chiavrìis: uno zelo degno di miglior causa.
Chi volesse oggi gustare l'aura delle rogge che un tempo abbellivano il volto della Città, può guardare vecchie fotografie o percorrere Via Verdi (Vie de Roe), Via Zanon (Borc di Sante Marie), Via Volontari della Libertà, Viale Vât, Via Planis, e gettare l’occhio fra case e palazzi: Borgo d’Isola, Vicolo Molin Nascosto…: potrà vedere così i resti delle rogge perdute.